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Robot

By giugno 2, 2022 One Comment

Uomini “diversamente occupati” e robot evoluti per una società più umanizzata?

L’uomo ha sempre lottato contro la limitatezza delle risorse, la fame, il dolore, la solitudine, la malattia, la morte usando la ragione e la tecnologia; ma ha chiesto aiuto anche alla religione e all’arte dice De Masi. Oggi può vincere la sfida con la natura, uno dei sogni più antichi dell’umanità. Grazie all’automazione, AI e rivoluzione digitale si sono aperti orizzonti che pochi anni fa appartenevano alla fantascienza. “Le macchine sono il nuovo proletariato. La classe lavoratrice è stata liberata”. J Attali
I robot sparsi nel pianeta sono circa 20 milioni; lavorano instancabilmente e con maggior qualità al posto dell’uomo che finalmente potrà compiere il salto dalla necessità alla libertà. Solamente 4 anni fa il 29% delle ore era coperto da lavori automatizzati mentre oggi siamo al 50%.
Sono quasi spariti infatti i casellanti autostradali, gli addetti alle biglietterie ferroviarie e coloro che movimentano i bagagli negli aeroporti. Vediamo droni che consegnano alimenti a domicilio, spargono sostanze chimiche sui vigneti; metropolitane senza guidatore, impianti di perforazione delle miniere gestiti a distanza e la raccolta della frutta o la mungitura fatta con bracci meccanici. Quanto è lontano il tempo in cui occorrevano 33 schiavi greci per fare il lavoro che oggi una sola persona svolge con gli elettrodomestici!

centraliniste

E se gli operai sono spariti dalle fabbriche sembra che le professioni liberali corrano meno rischi. Avvocati, medici, e il settore della formazione resistono grazie all’ineludibilità del contatto diretto. Ma già si nota qualche crepa: un solo professore può rivolgersi a milioni di universitari sparsi per il mondo.
Facciamo però un passo indietro nel tempo, c’è stata un’era, lunga milioni di anni, in cui l’uomo ha vissuto da cacciatore-raccoglitore. Poi è arrivata l’era dell’agricoltura che per migliaia di anni ha impiegato il 90% delle persone. Dal XVIII secolo l’era industriale ha dominato per 200 anni trasformando quelle persone in operai.
Il lungimirante O Wilde diceva:” “viviamo in un’epoca di superlavoro e di sottocultura; un’epoca in cui la gente è talmente laboriosa da divenire stupida”. Infatti nel XX secolo le innovazioni tecniche e digitali non hanno alleggerito le condizioni dei dipendenti. Un esempio per tutti: il 36% dei padri giapponesi spende gran parte del proprio tempo fra lavoro e pendolarismo, riservando ai figli e alle faccende domestiche solo 10 minuti al giorno.

super lavoro

È seguita poi l’era postindustriale dell’informazione e dei servizi che si è protratta per poche decine di anni con il suo esercito di impiegati, manager, dirigenti, professionisti, cioè persone che non manipolano materie prime ma bit: un bene ora disponibile a costi sempre più bassi.
Secondo illustri studiosi della NASA stiamo entrando in una nuova era: quella del nuovo umanesimo e della produttività infinita, della moltiplicazione delle industrie della cultura. Un mondo in cui il pensiero intuitivo crea valore economico-sociale a valle del pensiero logico e razionale che può essere svolto dalle “protesi” tecnologiche. Per P Marizza si va dall’immaginazione al potere di Marcuse al “potere all’immaginazione”: nel regno della creatività. Anche Deliotte vede una fase con la persona al centro; in cui sono esaltate estetica, etica, collaborazione, pensiero critico e problem solving.
Questo è possibile, come in tutti i grandi momenti economici di svolta, quando si verificano e convergono nuovi regimi energetici, alimentari, di comunicazione. Ad esempio le prime società agricole irrigue- Mesopotamia, Egitto ed India – hanno dovuto inventare la scrittura per poter gestire la complessità della coltivazione in immagazzinamento e distribuzione delle semenze. A dare origine alla prima rivoluzione industriale è stata la convergenza fra l’invenzione della tecnologia del vapore derivante dal carbone e la stampa. Ed oggi le innovazioni stanno trasformando il nostro mondo ad un ritmo senza precedenti, di conseguenza il futuro potrebbe arrivare più velocemente di quanto ci si aspetti. “Il futuro è fatto della stessa sostanza del presente” S Weil.

droni contadini

Il costo degli ioni di litio è diminuito ad un carg del 13% nell’ultimo decennio e di conseguenza i veicoli elettrici potrebbero raggiungere nel 2024 la parità di costo rispetto a quelli a combustione. Le città saranno così meno intasate da milioni di automobilisti diretti, nel 70% dei casi, in ufficio. E l’ambiente meno inquinato dal settore trasporti oggi il maggior responsabile delle emissioni di gas.
Ci sono voluti 39 anni perché i telefoni raggiungessero il 40% della popolazione. Gli smartphone ci hanno impiegato solo 10 anni. Con la sua base di 2 miliardi di utenti mensili connessi, YouTube raggiunge ora più persone di 18-49 anni di tutte le reti televisive messe insieme. Nel 2020 abbiamo assistito a un’accelerazione della spesa per la trasformazione digitale nonostante la contrazione del PIL in tutto il mondo.
Nel 1999 è stato mappato il primo genoma umano a un costo totale di 2,7 miliardi di dollari, nel 2018, il costo era sceso sotto i 1000 dollari. Dal 1996 al 2020 la pubblicità digitale negli USA è cresciuta a un cagr del 30%. La riduzione dei costi avvenuta nella telefonia – nel 1999 una connessione costava 2000 lire al minuto – sta riguardando alimentazione, trasporti e tanti altri settori; portando il costo per la vita di una famiglia nel 2030 a 350 dollari mese.
Ma ogni trasformazione porta distruzione dei vecchi posti di lavoro e creazione di nuovi. Pensiamo all’avvento delle ferrovie e del motore a scoppio: crisi del trasporto basato sui cavalli, nuove opportunità lavorative. Vi è tuttavia un intervallo di tempo in cui l’introduzione di queste tecnologie necessita di persone con nuove competenze e ciò provoca forti tensioni sociali. Famoso è stato il luddismo, un movimento operaio di protesta contro la disoccupazione generata del telaio che poteva fare il lavoro di decine di operai.
Quindi l’innovazione tecnologica determina via via una “sostituzione” di lavori più che una scomparsa; in altre parole, non esiste una correlazione positiva tra la crescita della produttività e l’aumento della disoccupazione come dicono O Blanchard e R Solow. Il tema è reso attuale dall’impatto dell’industria 4.0, AI e infrastrutture bolckchain. Si veda il caso di Lloyds Bank che a fronte di 6200 licenziamenti ha fatto 8200 assunzioni ma con nuove competenze. Secondo la Oxford University il 47% dei posti di lavoro negli Stati Uniti è ad “alto rischio automazione” nei prossimi 20 anni ed in Europa parliamo del 50% secondo il Centro studi Bruegel. Per Nomura, in Giappone, metà degli impiegati sarà sostituita dai robot entro il 2035.
Già oggi la disoccupazione ha raggiunto il livello più elevato dai tempi della Grande Depressione con più di ottocento milioni di disoccupati o sottoccupati. Questa gigantesca bolla necessita di diversi lustri per sgonfiarsi, quando cioè i lavoratori “obsoleti” non saranno interamente compensati dai lavoratori “innovativi”
Tra i possibili interventi ipotizzati si è diffusa l’idea di una riduzione dell’orario: “lavorare meno lavorare tutti”. Ma in Francia e Germania non hanno portato i risultati sperati. Invece, dice I Tinagli, l’unico elemento valido è l’istruzione e la formazione permanente favorite da politiche pubbliche, a salvaguardia delle solide reti sociali basate su una comune esperienza professionale e su relazioni personali formatesi nel corso degli anni. C’è il rischio infatti che queste si indeboliscano a vantaggio di situazioni in cui l’individuo rimarrà privo dell’identità sociale conferitagli dal lavoro, isolato ed insicuro.

ufficio nella foresta

Se nei tempi antichi l’ozio di pochi poteva essere garantito soltanto dalle fatiche di molti, osservava B Russell, la tecnica moderna ci consente di distribuirlo equamente tra tutti i membri della comunità. Il filosofo auspicava inoltre la fine dell’etica del lavoro, ovvero “l’ etica degli schiavi”, insieme ad una riforma dell’istruzione per: “educare e raffinare il gusto in modo che un uomo possa sfruttare con l’intelligenza il proprio tempo libero”.
Un obiettivo certo realizzabile dal momento che il mito liberista è crollato con la teoria delle disuguaglianze come un prezzo da pagare per avere crescita accelerata, e la redistribuzione come una inevitabile penalizzazione. “Il lavoro nobilita l’uomo e arricchisce qualcun altro” Michelangelo. Infatti il mondo occidentale non è mai cresciuto tanto quanto nei famosi “trent’anni gloriosi” 1950-1980 caratterizzati da più intervento pubblico e meno disuguaglianze.

S Freud disse: “il lavoro rappresenta la connessione tra l’individuo e la realtà”: l’accesso al lavoro come precondizione per la realizzazione personale e l’inclusione sociale. Rappresenta uno snodo di senso, di orgoglio, di valore, di relazioni, nella vita di ognuno. Sulla stessa linea Keynes: “l’ampliamento delle funzioni di governo può essere il solo modo concreto per evitare la completa distruzione delle forme economiche attuali, e anche come condizione indispensabile per il buon funzionamento dell’iniziativa individuale”. Proprio quest’ultima necessita di essere regolamentata visti i disastri cui l’egoismo umano ci ha portati: inquinamento ambientale, disoccupazione di massa.
Ecco, nel pensiero contemporaneo è diventato (quasi) un luogo comune parlare di “scomparsa del lavoro” (Méda), di sostituzione della sfera del lavoro con la “sfera comunicativa” (Habermas), di “perdita di centralità della categoria lavoro” (Offe) o ancora di “fine del lavoro” (Rifkin). Ma l’idea che il progresso tecnologico portasse simili effetti è stata anticipata da J M Keynes, il quale previde nel 1939 che dopo un secolo le popolazioni non sarebbero più state nella condizione di dover lavorare o perlomeno per non più di 15 ore settimanali.
D’altro canto le previsioni sulle dinamiche occupazionali andrebbero accompagnate da un’attenta lettura dei trend demografici. Il declino dei tassi di natalità nei Paesi sviluppati, infatti, contrarrà la quantità di forza lavoro disponibile, anche nella popolosa Cina. Negli USA le richieste di lavoratori con competenze matematiche ed informatiche sono state 5 volte superiori alla disponibilità nel 2014. Ed in Germania si studia un programma per integrare ogni anno 400000 lavoratori stranieri specializzati.

“Nella vita non ho più ambizioni perché ho fatto davvero di tutto, tranne il ballerino classico e il fantino” B Spencer”. Anche se la prospettiva di un lavoro unico durante l’intera vita lavorativa appartiene ormai al passato, la domanda è in che misura quest’archetipo (se mai sia davvero esistito come norma generale) sarà sostituito da forme di lavoro (ma poi per produrre cosa e per chi?) sempre più flessibili, di breve termine e transitorie.
Di certo molto è cambiato da quando venne coniata: “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Allora si viveva 300 mila ore e si lavorava 150 mila: la metà della vita. Dopo 70 anni le ore sono rispettivamente 700 mila e 70 mila, oggi quindi il lavoro rappresenta un decimo della vita ma presto diverrà un 20esimo, un 50 esimo.

Forse, rispetto ai nostri nonni che vivevano per lavorare, noi lavoreremo quel tanto che ci basterà per vivere in questa nuova era della creatività. Noi siamo molto di più del nostro lavoro dice L Floridi, soprattutto in un‘epoca in cui l’identità è legata in modo limitante alla professione. “Se uno passasse un anno intero in vacanza, divertirsi sarebbe stressante come lavorare” Shakespeare. Secondo un rapporto reso noto nel 2016 del WEF il 65% dei bambini, che in quell’anno iniziavano la scuola primaria, farà un lavoro ancora inesistente. La grande trasformazione digitale, dice M Bentivogli, può essere una sfida per costruire un mondo a partire dal lavoro a “umanità aumentata”.

Se andiamo verso una società fatta di tempo libero il nostro paese ha molto da dire. G Clooney sintetizza bene l’italian style:” ho osservato gli italiani … mettersi a tavola, un buon vino, chiacchiere, amici, è gente che si sa godere la vita, sa come celebrarla. Vorrei che molti miei colleghi … imparassero ad apprezzare ogni cosa come ho imparato io, con la mia italian-therapy”.
La fama dell’Italia, scriveva Prezzolini, è oggi grande nel mondo per la seduzione del suo sistema di vita, che non è codificato in nessun libro … gli italiani … son ancora pieni di sorprese … Guardandoli da lontano, vien fatto di pensare che tutto sia possibile. Chi lo sa? Magari una nuova esistenza, con forme mai vedute, usando quel poco che natura ha dato loro. “Non spero nulla dall’uomo che lavora per la sua vita e non per l’eternità” A De Saint-Exupery.

italian style

Marco Biagioli

Author Marco Biagioli

Marco Biagioli, consulente finanziario e pubblicista, collabora a diverse testate finanziarie. tel 3483856053

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