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“Nelle sventure comuni si riconciliano gli animi e si stringono amicizie” M de Cervantes.

By settembre 16, 2017 No Comments

“Dove hai fatto il militare?” È la domanda giusta per aggregare gli sconosciuti. Apre un mondo dove riaffiorano le proprie debolezze e le sventure che le hanno generate; le esperienze, le emozioni che hanno influito sulle relazioni in quel democratico “ciclo della vita in miniatura”. Mette in scena i percorsi che portano con forza all’Io, al Noi e allo Spirito di Corpo.

Il servizio militare di leva, anche a distanza di decenni, evoca passione negli animi; rimane in memoria come un periodo duro ma significativo, ricco di crescita e di amicizie. Le stesse sensazioni, forse di forza inferiore, sono comuni allo spirito di certi sports. “I momenti di crisi raddoppiano la vitalità…gli uomini cominciano a vivere appieno solo quando si trovano con le spalle al muro” P Auster. Una frase di L Gioielli consente paragoni con il mondo del calcio: “…un’ emozione difficile da spiegare razionalmente… è la più perfetta ed incruenta simulazione della guerra che l’uomo sia riuscito a creare…ci sono gli eroi..i capitani coraggiosi…oscuri soldati senza i quali…non potrebbe aver luogo”. Comuni anche al Rugby: “ogni volta che cerchi di inoltrarti nello spazio avversario…dovresti avere un compagno in sostegno dietro di te. Se è un amico meglio” M Pastonesi; portare nel territorio nemico una palla facendola volare continuamente all’indietro, parafrasando A Baricco, sembra assurdo ma è spettacolare.
Combattere per vincere un nemico, ovunque nel mondo, richiede il sapiente impiego della forza, Italia compresa, unita ad un addestramento intenso in un ambiente specifico: il “democratico “ contesto della caserma.
Qui il militare “ha” un mondo nel senso che il mondo non è solo il luogo che lo ospita, ma anche il termine in cui proietta le proprie intenzioni e progettualità. La caserma, fin dal primo giorno, cambia il proprio spirito di rapportarsi con la vita; il mondo attorno perde i connotati rassicuranti, si dissolvono le convenzioni, si disintegrano le comuni teorie, crollano i modelli, iniziano le sventure. Le così comode gabbie degli animi ed i luoghi comuni vengono spazzati con forza, ci si spoglia di tutte le inutili difese che uno ha imparato a mettere fra sé e le amicizie, spesso fra sé e la vita; si è costretti all’apprendistato della disciplina di caserma, nella solitudine, nel dubbio e negli animi niente è più come prima. “Si è sé stessi solo quando gli altri ci voltano le spalle” E Cioran. Qui i cosiddetti “vecchi” scoprono al volo, nello spirito trionfale, superbo e sicuro di qualche recluta, un ridicolo travestimento della miseria umana.
“La fragilità rifà l’uomo mentre la potenza lo distrugge lo riduce a frammenti che si trasformano in polvere” Andreoli. La voglia di cambiare si trasforma in necessità di adeguarsi al gruppo, di accettare per forza un cammino difficile. Si avverte uno stato di emergenza continua, sono comuni la fragilità e la sfiducia nel proprio bagaglio di esperienze perchè ciò che può capitare è l’ennesima novità. La fragilità fa emergere queste domande: “avrò la forza di uscire integro da qui? Dove andrò a bere domani? Potrò dormire nella sicurezza in questo accampamento?”. Ma conoscere meglio la propria fragilità e comprendere quanto sia diffusa in caserma regala una tranquillità interiore raramente sperimentata prima. Nelle sventure di gruppo, nell’apparente imprudenza, si trova lo spirito di affrontare rischi mai corsi prima. Gli animi dei militari sperimentano una regressione verso l’urgenza dei bisogni primari di Maslow, la cui gratificazione contribuisce al superamento delle comuni fragilità. Incamminandosi sulla strada della libertà e della maturità si resetta un baratro: fra quello che si voleva essere e quello che è diventati allontanandosi dalla fragilità.
In caserma è d’obbligo rispettare ferree procedure nello svolgimento delle innumerevoli e spesso pericolose attività. L’estrema cura dei dettagli e quell’apparente assurdità di certe ripetizioni, consentono di avvicinarsi a quanto provato, oggi come in passato, da altri uomini cioè l’irrazionalità della guerra. L’esperienza delle sventure, come la malattia, promuove la ricerca del senso della vita e dà forza al concetto di sè. Non la felicità sul cui senso nessuno si è mai posto domande. È emblematico il motto della Scuola di Fanteria e Cavalleria “Fortior ex adversis resurgo” cioè risorgo con più forza dalle avversità, per riprendere la strada giusta. Ogni soldato in caserma ne ha provato il democratico significato, uscendo dalla fragilità di una situazione disperata con più forza nello spirito e maggior autostima.
Le relazioni umane, la familiarità, le amicizie diventano cosi’ forti negli animi da portare a gesti eroici, in parte contrari all’istinto di sopravvivenza: è lo spirito di corpo. Cioè il sentimento di solidarietà fondato su tradizioni etiche e storiche che unisce i singoli al fine di mantenere elevato il prestigio del corpo cui appartengono. “La cattiva sorte ci mostra chi non sono i veri amici” dice Aristotele, ma lo spirito di corpo ha la forza di invadere anche gli animi di coloro che, in ambiti diversi dalla caserma, resterebbero indifferenti. Grazie ad esso la condizione umana del soldato si differenzia dalla più ampia collettività in cui è inserito. L’altro è “molto prossimo”, si rivela nelle infinite azioni svolte fianco a fianco. Le amicizie e la forza dell’intercorporeità favoriscono una comunicazione profonda in un contesto democratico e ricco di intersoggettività.

Lo spirito di corpo presente in caserma ha un corrispettivo nello spirito di gruppo di certi sports dove, nel famoso spogliatoio, si sottoscrive una sorta di “patto senza tempo”. Qui c’è l’anima della squadra, gli individui diventano gruppo, si vestono di colori comuni. Si comunica con dialoghi, sguardi, atteggiamenti e respiri: tanti rapporti individuali ed amicizie si intersecano e diventano una solida rete. ”I legami più profondi non sono fatti né di corde, né di nodi, eppure nessuno li scioglie” L Tze. Questi ambienti non sono privi di conflitti; “ognuno vuole amici potenti. Ma loro ne vogliono di più potenti” E Canetti. Vige però il detto “i panni sporchi si lavano in famiglia” e la vendetta e la fuga non sono tanto praticabili. É uno spazio di possibile creatività in cui ci sono opportunità di sviluppo, di attivare competenze legate allo spirito di negoziazione e di comunicazione; l’offensore e la vittima sono sollecitati sia sul piano intrapersonale che interpersonale. “Le colpe di un amico scrivile nella sabbia” Pitagora. Quando lo spirito dell’offesa è percepito come ingiusto, immorale e intenzionale, tale da provocare una sofferenza persistente, è più difficile arrivare al: “perdono… una risposta ad un’offesa subita…non annulla la memoria di un evento, ma la trasforma” C Regalia G Paleari.
Discorsi tipo: “Non ti fai mai sentire” non vengono contemplati nello spirito delle amicizie da caserma. Piuttosto nelle sventure vale: ”Non dare mai spiegazioni: i tuoi amici non ne hanno bisogno e i tuoi nemici non ci crederanno comunque” E Hubbard. Sembra che le amicizie vere, che ognuno non può eccedere, siano cinque ma nel periodo del militare ciò appare limitativo. “Non camminare dietro a me, potrei non condurti. Non camminarmi davanti, potrei non seguirti. Cammina soltanto accanto a me e sii mio amico” A Camus. Le amicizie scaturiscono dall’incontro tra due o piu persone che percepiscono un sentimento di comunanza di interessi, di valori, di ideali e che per questo stabiliscono delle interazioni intime fondate sulla comprensione e sulla fiducia reciproca. Ciascuno prende parte all’altro per partecipare a qualcosa, condividere. Ovvero parteciparsi qualcosa l’un l’altro, comunicare. O ancora partecipare ad un medesimo destino, consegnarsi all’altro: amicizie nella forma più autentica. Laddove cambia il proprio mondo interiore nella figura esistenziale del “confidarsi”. “Non attraverso la partecipazione ad un mondo comune gli amici prendono parte l’un l’altro ma, al contrario, nella reciproca partecipazione degli amici si costituisce la comunità del mondo” Binswanger. L’invito del Siracide: “Se intendi farti un amico, mettilo alla prova e non fidarti subito di lui… ” trova applicazione nei dodici mesi di sventure comuni vissute in caserma. Una scuola di vita dove si comprendere la grande diversità delle personalità, dell’approccio al mondo, degli animi dei soldati. Nelle amicizie la parola si fa confidenziale, esce dalla «concretezza» dello stare ai fatti. Rimanda ad un’ eccedenza di senso senza però apparire folle, perché questo ascolto democratico è aperto a tutti gli sconfinamenti: all’autenticità. In caserma c’è lo spirito per trovare il giusto tempo e le domande possono andare con forza a fondo del problema; forse possono apparire troppo cariche di senso, di sincerità, anche poco “serie” ma rimangono il nutrimento ottimale degli animi. ”Non ho bisogno di un amico che cambia quando cambio e che annuisce quando annuisco; la mia ombra lo fa molto meglio” Plutarco.

Il detto: “non ti passa più!” si riferisce al tempo che, nelle sventure, non scorre e aggrava il senso di noia in caserma; infatti la vita militare è piena di operazioni ad alta intensità ma anche di tempi morti. Il tempo sentito dentro le viscere è tutt’altra cosa di quello imprigionato nei nostri orologi o animi soprattutto in assenza di amicizie. Il secondo crea frenesia mentre il primo rimanda sia alla noia che alla contemplazione. Un tempo impiegato in faticose esercitazioni comuni, canti di plotone o nell’ascolto silenzioso di un tramonto. Ovvero a rispondere, in una notte stellata in montagna, alle domande del Capitano sull’orientamento notturno; sempre in piedi perchè: “un gentiluomo muore in piedi!” Il tempo del militare abbonda di colori, suoni, sapori, esperienze, qualcosa di sconvolgente, che ha tutto in sé. La ricchezza del presente sembra niente nel momento in cui si vive; solo dopo infatti ci si rende conto della forza dello spirito di quei momenti, veri punti di riferimento nella confusione della navigazione a vista che è la nostra vita. ”Alla fine ricorderemo non le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici” M L King.
C’è un luogo particolare in ogni caserma in cui forse il militare impara che aspettare è più importante di arrivare: lo spaccio. Qui si conosce nella vera accezione l’ozio, che non è il ”padre di tutti i vizi”, ma uno degli ingredienti che ha reso indimenticabile quel periodo. Qui c’è tutto il tempo per organizzare scherzi, parlare con nuove reclute o raccontare, per l’ennesima volta, un fatto magari arcinoto. La vita di caserma è nota a centinaia di soldati, le notizie volano e non è certo necessario ripeterle ma si fa lo stesso: la storia del giuramento da sergente dei caporali del quarto scaglione in cui ognuno ha pronunciato perfettamente, senza leggerla, la formula del giuramento davanti al comandante guardandolo dritto negli occhi. I tempi lenti e la calma, così comuni nell’ozio, inducono alla tolleranza ed offrono il lusso democratico dell’ascolto profondo di sé e degli altri, della soddisfazione personale, della gratuità della condivisione. “Se uno, con la parte migliore del suo occhio guarda la parte migliore dell’ occhio dell’ amico, vede se stesso” Platone. Questo dono unito alla libertà di immaginare, contemplare, pensare, genera ricordi duraturi e precisi; produce idee nuove, inside ,cioè momenti di apertura mentale. Porta a dominare la forza del tempo e delle sventure; a guardare il mondo con affettuoso e democratico distacco. “E’ una follia odiare tutte le rose perchè una spina ti ha punto… È una follia condannare tutte le amicizie perchè una ti ha tradito… Per ogni fine c’è un nuovo inizio” A de Saint-Exupery.
Nella fase avanzata dell’addestramento si esegue ormai qualsiasi ordine senza dare alcun giudizio; diventa un’abitudine l’obbligo di tenere in ogni occasione, da soli o in adunata, il petto in fuori e la testa alta in religioso silenzio, sia di fronte agli elogi che ai peggiori insulti. Il militare sviluppa una corazza protettiva, aumenta la convinzione della direzione da prendere, la sicurezza nelle azioni da fare, la decisione nel compiere ciò che è utile al gruppo. La mente si purifica come in un approccio alla mindfulness.

Il soldato di leva non sacrifica relazioni per un aumento di stipendio, nè ha bisogno di abiti o macchine dove tutti in caserma vanno, in modo democratico, a piedi e in divisa. Gli animi, nelle sventure, sono fuori dalla logica credito-debito mentre vige il baratto, la reciprocità, la gratuità, lo slancio di generosità del gesto; conta quante amicizie si hanno e si viene invitati volentieri a pranzare insieme a mensa. La tavola in caserma, come nei ristoranti limitrofi, è un luogo sacro dove condividere gioie e paure comuni. Ogni giorno nuove potenziali amicizie, nuovi caratteri da soppesare ed assemblare per raggiungere un equilibrio. Le storie che emergono fanno condividere emozioni che come catalizzatori dissolvono la diffidenza. Certe volte lo sguardo si volta in un attimo verso lo stesso punto invisibile della nostra condizione umana con la consapevolezza che il viaggio negli animi non è più solitario.
La domanda iniziale stimola sempre piacevoli dialoghi ed i ricordi comuni affiorano con più forza, come in certi periodi della vita, forse per farci trovare le nostre radici, la nostra trama. Ovvero ricercare, dopo tanto peregrinare, i punti nodali del nostro essere stati al mondo. Se gli amori riguardano un altro tempo dell’essere, sono altre certezze, come le amicizie, veri mattoni dell’anima, ad appartenerci di più. Ricordi lontanissimi ma ancora lucidi, risate così sonore e irriverenti che solo le amicizie della giovinezza e del militare ci hanno regalato davvero. Al termine della serena e vitale conversazione, giunti al momento dei saluti, torna in mente l’atmosfera del congedo. Quella consapevolezza di poter affrontare qualsiasi cosa una volta usciti, zaino in spalla, dalla caserma. Con gli animi pieni della potenza di vivere pienamente la vita. Il ricordo del viaggio di ritorno seduti accanto al democratico finestrino del treno, con il mondo che è sempre lì ad aspettare; la sensazione che va tutto bene, che ogni posto è la propria casa, sicuri per la prima volta di aver veramente aperto gli occhi e di non aver bisogno di certezze, desideri, verità da diffondere. La domanda: “dove hai fatto il militare?” ha dato forza ad un concetto: “conosco il tuo Io”. La solidarietà ha confermato pensieri comuni: “non spero in niente. Non ho paura di niente. Sono libero”.

Marco Biagioli

Author Marco Biagioli

Marco Biagioli, consulente finanziario e pubblicista, collabora a diverse testate finanziarie. tel 3483856053

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